Stoccafisso vs Baccalà

Il piacere della differenza?

Gianni Quondamatteo, nel suo Dizionario Romagnolo alla voce “lumbardòn, lombardone” lo definisce il manzo dei poveri, si ricava dal merluzzo, un pesce selvaggio che vive in completa libertà nel mistero che avvolge le acque dell’Atlantico. In passato il Baccalà e lo Stoccafisso erano ritenuti alimenti leggeri, e proprio per questo utilizzati nelle preparazioni durante il periodo di Quaresima, il tempo poi ha cambiato le abitudini alimentari trasformandoli da ingredienti “poveri” ad interpreti di pietanze di grande pregio, prodotti che racchiudono il passato ed il futuro la tradizione e l’innovazione.

In romagna dire a qualcuno “ci un lumbardòn” era un po offensivo mentre “dur cume un lumbardòn” era qualcosa di molto freddo e chi procede rigido “l’ande’ va tinc cume un lumbardòn” ed ancora “il lombardone nuota nell’acqua e da morto nell’olio”

“Lumbardon” Stoccafisso e “Becalà” Baccalà la provenienza è la stessa: Danimarca, Isole Fær Øer, Norvegia, Islanda e Canada., il baccalà è ottenuto dal merluzzo messo sotto sale, mentre lo stoccafisso viene fatto seccare all’aria. Per la cronaca lo stoccafisso essiccato ai gelidi venti del Nord nei pressi dell’arcipelago delle isole Lofoten al largo della Norvegia si consuma quasi esclusivamente in Italia. In tutto il resto del pianeta si consuma il baccalà.

L’introduzione nel Bel Paese la si deve a Pietro Quercini che nel 1431 fece naufragio nei pressi dell’arcipelago delle isole Lofoten al largo della Norvegia, li fu salvato dagli indigeni che vivevano in quelle isole e li rimase a lungo riuscendo a carpire molti segreti di quella cultura, compresa la tecnica di seccare i merluzzi rendendoli inattaccabili dalle muffe. Tornato a Venezia intraprese un commercio di stoccafissi in cambio di sale, difficile da trovare a quei tempi in quei luoghi. Con quel pesce gli italiani ampliarono la loro dieta e la loro proposta gastronomica mentre i norvegesi, con quel sale, inventarono il baccalà.

La pezzatura dello stoccafisso, la polposità della sua carne,

      • Forma naturale e ventre aperto.
      • Collo e ventre puliti.
      • Assenza di ecchimosi e macchie di muffa.
      • Assenza di danni causati dal gelo.
      • Pelle di colore brillante.

consentono ad ogni “pezzo” di entrare a far parte di una classifica che va dal migliore che è il

      • Ragno, alle successive cioè
      • Westre Magro
      • Westre Demi Magro
      • Grand Premier Lub
      • Bremer, Hollender
      • Westre Courant
      • Westre Ancona
      • Westre Piccolo

Per gli stoccafisso di seconda scelta esiste una classifica a parte.

Il baccalà lo si ritrova in molte cucine popolari, nelle quali il suo utilizzo si alterna a quello dello stoccafisso. Tanto il baccalà quanto lo stoccafisso, per essere utilizzabili, hanno bisogno di una lunga immersione in acqua fredda, che provvede a eliminare il sale in eccesso nel primo e a reidratare il secondo.

L’ammollo dello Stoccafisso è un’arte.

Ammollare coprendo completamente con l’acqua freddissima per 5 giorni circa.

Spaccatura e Toelettatura: tagliarlo a metà partendo dalla pancia e sollevare la spina dorsale per evitare la formazione di cattivi odori, eliminare tutte le parti viscerali rimaste piccole zone di sangue, pellicine e pleura.

Rimetterlo a bagno 10 giorni circa.

Durante l’ammollo il prodotto si reidrata aumentando di peso del 40% e riacquista morbidezza.

Da “Mangiari di Romagna” di Gianni Quandamatteo, Luigi Pasquini, Marcello Caminiti. Prima edizione del 1960:

Lo Stoccafisso di “Lasagna”

E’ una formula che Mastro “Lasagna”, un vero artista del lombardone, ci ha consegnata dopo non poche e reiterate preghiere.

Ben volentieri consegnamo questo piatto ai nostri lettori, con l’avvertenza, però, di raccogliere attorno alla loro tavola amici dallo stomaco forte e dal fegato che non abbisogna di Chianciano.

Si acquisti uno stoccafisso ben secco di prima qualità, del peso di circa un chilo, e lo si ponga a bagno per 24 ore di seguito. Dopo questo primo battesimo, tratto dall’acqua, lo si batta religiosamente con un mazzuolo di legno, e lo si rimetta a mollo, questa volta per una buona settimana e più, curando di cambiare l’acqua almeno ogni 48 ore.

Arrivato il giorno fatale, ci si alzi ben presto (ed il perché lo si capirà subito), e ripescando il nostro palombaro, lo si pulisca per benino di ogni sorta di spine e lische che non andranno affatto buttate via, ma messe a bollire a parte in poc’acqua. Si tagli lo stoccafisso a riquadri di 5-6 cm di lato.

Si prepari, a parte, un pesto di prezzemolo, aglio, rosmarino e cipolla, il tutto tritato finissimo.

In un grosso tegame di terracotta,¹ si ponga sul fondo una graticola di cannucce comuni, e su questa intelaiatura, che impedisce al pesce di venire a contatto con il fondo, si pongano i pezzi dello stoccafisso, con la pelle rivolta in basso.

Si cosparga il pesce del finissimo battuto preparato a parte, si metta sale e pepe nella giusta misura, si innaffi con abbondante olio di oliva e si aggiunga della conserva di pomodoro sciolta in un dito di acqua tiepida o, meglio, ancora, del pomodoro fresco. Aggiunto, naturalmente, andrà anche quel brodo denso e colloso che si è ricavato dalla bollitura delle spine. Tutt’intorno, dentro al tegame, si ponga una corona di cipolle di media grossezza.

Si ripeta, eventualmente, la manovra per un secondo strato di stoccafisso, e si metta infine il tegame sul fuoco: cottura lenta, durata 5-6 ore: ecco il “perché” della levataccia²

 

¹ Non è un vezzo, questo nostro consigliare la terracotta, credetemi.

² Piatto appetitoso, non per stomachi deboli. Come ognuno sa, si tratta di merluzzo seccato al sole e arrotolato a guisa di bastone: dall’inglese stock-fish, pesce-bastone, da noi, anche “lombardone” o “manzo dei poveri”.

Facile confonderlo col baccalà, facendo, così, la figura del medesimo

 

A presto, a tavola

Antonio Ravegnini